Riscaldamento a pellet, tra opportunità economiche e garanzie di qualità
Un settore che in Italia non conosce crisi è quello delle caldaie e delle stufe alimentate a pellet. E con la stagione fredda ormai alle porte, si rinnova l’interesse verso questo biocombustibile ecologico ed economico.
Con oltre 4,4 milioni di stufe e caminetti a biomassa, di cui 740mila sono stufe a pellet (dati 2007), il nostro paese si conferma al primo posto in Europa per numero di apparecchi installati. Per quanto riguarda le caldaie a pellet, se ne contano soltanto alcune migliaia, ma con un incremento di vendite del 60% tra il 2007 e il 2008. Ricordiamo inoltre che le caldaie a biomassa possono accedere, con condizioni vantaggiose, alle detrazioni del 55% (vedi Riferimenti in fondo alla news).
E se sul fronte della produzione di impianti a pellet l’Italia può vantare una buona posizione a livello europeo, lo stesso non si può dire per la produzione interna di biocombustibile. Secondo stime di Aiel (Associazione italiana energie agroforestali), nel 2008 in Italia si sono prodotte 700mila tonnellate di pellet, pari al 53% della richiesta interna che ha assorbito complessivamente ben 1,2 milioni di tonnellate. Il deficit produttivo ha costretto a importare grandi quantitativi di pellet dall’estero, soprattutto da Austria (250mila tonnellate) e da paesi dell’est Europa. E le previsioni produttive per l’inverno 2009 sembrano riproporre uno scenario pressoché identico a quello dell’anno precedente.
Questa estate ha fatto molto scalpore il sequestro di 10mila tonnellate di pellet prodotto in Lituania e risultato contaminato da cesio 137. In realtà, le successive analisi dell’Arpa Piemonte hanno ridimensionato l’allarme, rilevando valori di contaminazione radioattiva “molto bassi, assai lontani dalla soglia di rilevanza radiologica”. Al di là del clamore mediatico, il caso del pellet lituano ha avuto il merito di sollevare la questione della qualità e della provenienza del combustibile bruciato nelle nostre case. Spesso infatti, spinti dalla ricerca del prezzo più basso, ci si trova ad acquistare confezioni di pellet prive di certificazioni e con indicazioni molto generiche sull’origine del prodotto. Questo non accade quando si acquisita pellet proveniente ad esempio dall’Austria, in cui sono in vigore standard normativi molto rigidi (Ö-Norm M7135).
Da qualche anno anche il mercato italiano si è organizzato, sviluppando marchi volontari –il più famoso è il Pellet Gold- che attestano la rispondenza del pellet a requisiti di qualità analoghi a quelli stabiliti dai virtuosi cugini nordeuropei. Il pellet certificato garantisce un prodotto privo di colle sintetiche, inquinanti, residui radioattivi e proveniente da foreste gestite in maniera sostenibile. Il costo è normalmente superiore al pellet non certificato, ma in cambio si hanno certezze sulla qualità e anche sulla resa energetica della materia prima.
Ma è in arrivo una grande novità: è infatti attualmente in fase di definizione uno standard europeo per il pellet, destinato a sostituire a partire dal 2010 le diverse normative nazionali. Al momento, quello che si sa è che ci saranno tre diverse classi di qualità differenziate in base al contenuto di ceneri e alla materia prima utilizzata:
• A1: ceneri inferiori allo 0,7% (0,5% per il legno di conifere)
• A2: ceneri fino all’1%
• B: pellet industriale, con ceneri superiori all’1%
Maggiori dettagli su questo importante percorso di standardizzazione si potranno avere il 6 e 7 ottobre a Stoccarda, nel corso del Pellets Industry Forum che vedrà confrontarsi i principali produttori ed esperti del settore.
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