Certificati Verdi, nuova doccia fredda
Gli operatori avevano cominciato a sperarci davvero. Ma è crollata di schianto la "rivoluzione dei Certificati Verdi". Un urlo di dolore di APER.
Nonostante qualche incertezza sulle modalità applicative che i commi 18 e 19 dell’articolo 27 della legge 99/09 avrebbero comportato, i produttori di energia da fonti rinnovabili avevano ripreso coraggio: la riforma del meccanismo dei Certificati Verdi sembrava alle porte.
E invece, un piccolo intervento all'interno del Decreto Legge (in attesa di pubblicazione) recante “Misure urgenti per il differimento di termini in materia ambientale e di autotrasporto, nonchè per l'assegnazione di quote di emissione di CO2" ha abrogato i due commi. Dunque la palla torna al centro e di rivoluzione non si parla più.
La storia pregressa è complicata e chi la volesse ripercorrere può trovare tutti gli indizi nei riferimenti in calce a questa news (tenendo presente che Nextville attende la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del nuovo Dl per modificare il contenuto delle pagine).
La vicenda è comunque ben riassunta da questa lettera aperta che APER ha inviato al Sottosegretario Saglia e che siamo lieti di ospitare.
Milano, 5 maggio 2010
Ill.mo Sottosegretario Saglia,
con la presente siamo a manifestare la vivissima preoccupazione della scrivente Associazione a seguito dell’approvazione, avvenuta lo scorso venerdì 30 aprile nel corso del Consiglio dei Ministri n.91, del Decreto Legge recante “Misure urgenti per il differimento di termini in materia ambientale e di autotrasporto, nonchè per l'assegnazione di quote di emissione di CO2”, con cui, inter alia, si dispone l’abrogazione delle disposizioni relative al trasferimento dell’obbligo di acquisto di Certificati Verdi dai produttori di energia convenzionale ai titolari di un contratto in dispacciamento in prelievo, di cui ai commi 18 e 19 dell’art. 27 della legge 99/09.
Il trasferimento dell’obbligo ai c.d. grossisti, introdotto con la succitata legge 99/09, è stata una misura fortemente appoggiata dalla nostra Associazione, non solo perché avrebbe contribuito in maniera decisiva a riequilibrare i fondamentali del mercato dei Certificati Verdi (attualmente caratterizzati da un marcatissimo eccesso di offerta), ma anche perché avrebbe consentito il sostegno delle iniziative necessarie per il raggiungimento degli obiettivi al 2020 con un aggravio decisamente minore nei confronti dei consumatori elettrici.Partendo dal riequilibrio dei fondamentali del mercato, è necessario sottolineare che con l’attuale sistema di obbligo, la richiesta annua di Certificati Verdi (circa 9-10 TWh) è poco più della metà rispetto al quantitativo di CV emessi annualmente in favore dei produttori rinnovabili (dai 16 ai 18TWh). Ciò sortisce come inevitabili conseguenze il crollo dei valori dei CV sui mercati e la creazione di lunghissime code di CV invenduti. Basti al proposito ricordare la svalutazione cui si è assistito nell’estate 2008, che ha di fatto dimezzato il valore dei CV rispetto agli anni precedenti (da valori superiori a 120 €/MWh si passò infatti a 58 €/MWh). Ciò ha messo a repentaglio la sopravvivenza delle iniziative già avviate e lo sviluppo dei nuovi impianti.
Onde evitare la chiusura in blocco del “settore energia rinnovabile”, si procedette a fine 2008 all’adozione di un meccanismo di ritiro obbligatorio dei CV non venduti da parte del GSE (a prezzo amministrato), che ha sì risollevato le sorti dei CV e consentito la sopravvivenza del settore, ma, inutile negarlo, ha creato un maggiore aggravio sulla componente A3 della bolletta elettrica.
Aggravio che sarebbe stato assai inferiore in caso di trasferimento dell’obbligo, grazie al riequilibrio della domanda con l’offerta.
Infatti, mantenendo l’attuale sistema d’obbligo di acquisto dei CV in capo ai produttori, per raggiungere il noto obiettivo del 17% di FER sui consumi primari, sarebbe necessario incidere profondamente sulla quota d’obbligo di acquisto di CV, che si impennerebbe sino a raggiungere una percentuale pari al 26% nel 2020. Mediante l’ampliamento della base d’obbligo (ossia la domanda) che si sarebbe ottenuto con il trasferimento dell’obbligo sui traders, l’incremento necessario della quota sarebbe stato assai minore e sostanzialmente in linea con l’attualmente meccanismo di aggiornamento annuale, andando a raggiungere il 13,4% nel 2020.
Tale considerazione non è di poco conto, giacchè è proprio la quota d’obbligo a determinare l’onere finale in bolletta sul consumatore. Infatti, fissare una quota pari al 26% equivale a dire che per ogni 100 MWh prodotti da fonti convenzionali, si dovranno acquistare 26 CV, per i quali si provvederà poi a scaricare il costo sul consumatore finale.
Evidentemente dunque, una percentuale d’obbligo minore, come quella che sarebbe stato possibile fissare con la disposizione appena abrogata, avrebbe consentito al soggetto ad obbligo, per lastessa quota di energia prodotta, l’acquisto di un minor numero di CV e pertanto un minore ricarico in bolletta.
Ecco perché desta grandissima perplessità la motivazione dell’abrogazione dei commi 18 e 19 dell’art. 27 della legge 99/09 appena approvata, eseguita peraltro in nome del “principio di invarianza degli oneri sull’utenza elettrica”: a ben vedere, mantenendo l’attuale obbligo, gli oneri saranno di gran lunga maggiori, specie sul lungo periodo.
In conclusione, si sottolinea come l’estemporanea approvazione della misura in parola con ogni probabilità amplierà l’eccesso di offerta che già caratterizza il mercato dei CV, determinando così un crollo verticale del valore dei Certificati Verdi e mettendo a repentaglio l’esistenza delle iniziative già avviate, lo sviluppo dei nuovi investimenti e, in ultima istanza, il raggiungimento degli obiettivi al 2020.
Allo scopo di evitare tali indesiderabili conseguenze, diventa improcrastinabile l’introduzione di misure correttive, orientate alternativamente al sostegno del valore dell’incentivazione o al ripristino dell’equilibrio dei fondamentali di mercato.
Assunto che i correttivi di cui sopra sono di 3 tipi (eliminazione delle esenzioni sull’obbligo per produzioni non rinnovabili, allineamento della quota d’obbligo con il percorso di crescita della generazione rinnovabile di qui al 2020, introduzione di un prezzo floor), la scrivente Associazione, pur ritenendola una soluzione sub-ottimale rispetto al trasferimento dell’obbligo appena abrogato, ritiene che la misura che determinerebbe un minor onore sul consumatore finale, consentendo al contempo la sopravvivenza delle iniziative di produzione di energia rinnovabile, è l’introduzione di
un limite basso di prezzo alla transazioni (prezzo floor).
Tale meccanismo, consisterebbe proprio nel concedere la possibilità ai detentori di CV di richiedere al GSE, al 31 marzo di ogni anno, il ritiro dei CV non venduti sul mercato a un prezzo floor prestabilito (160 €/MWh meno il prezzo dell’energia elettrica nell’anno precedente), o, in subordine,
nella proroga sine die dell’attuale meccanismo transitorio di ritiri annuali gestito dal GSE ai sensi dell’art.15 del DM 18 dicembre 2008.
Restando a disposizione per offrire chiarimenti e delucidazioni di metodo e di merito sulle considerazioni sopra effettuate, nonché dichiarando la disponibilità della nostra struttura tecnica alla partecipazione al procedimento di costruzione dei sovracitati meccanismi correttivi, si coglie
l’occasione per porgere i nostri più cordiali saluti.
Il presidente di APER
Roberto Longo
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