Milano, 13 ottobre 2010 - 00:00

Biocarburanti di seconda generazione, un nuovo enzima per il futuro

Un gruppo di scienziati norvegesi ha scoperto un enzima che dovrebbe permettere una più rapida conversione di rifiuti organici e scarti agricoli e forestali in energia.

E ciò che rivela uno studio pubblicato dalla rivista Science lo scorso 8 ottobre 2010 (vedi Riferimenti). Vi è molta attesa per l’avvento dei biocarburanti di seconda generazione perchè, contrariamente a quanto avviene per quelli attuali, essi non produrranno una competizione con le produzioni delle terre agricole destinate all’alimentazione (competizione già denunciata da Lester R. Brown in Piano B 4.0, vedi Riferimenti). Oggi, infatti, la maggior parte dei biocarburanti proviene dal mais, dalla soia, dalla canna da zucchero e dall’olio di palma, tutte materie prime sottratte ad altri usi. 

Il maggiore freno allo sviluppo dei biocarburanti di seconda generazione risiede nella difficile degradazione della cellulosa, composta da una catena di molecole di zucchero e notoriamente uno dei maggiori costituenti delle piante. Il cotone, ad esempio, è composto quasi al 100% da cellulosa mentre la polpa, utilizzata per la produzione della carta, deriva dalle fibre vegetali del legno. La cellulosa è anche il principale componente degli scarti agricoli e forestali. 

Il gruppo di ricerca condotto da Gustav Vaaje-Kolstad dell’università norvegese delle Scienze della vita ha scoperto un enzima prodotto dal batterio Serratia marcescens che favorisce il degrado della chitina, una molecola analoga alla cellulosa presente nell’esoscheletro degli insetti (per quantità è il secondo biopolimero presente in natura). L’enzima agisce sulla superficie della chitina favorendo così l’azione della chinasi, il gruppo di enzimi più numeroso in assoluto. Un enzima funziona come acceleratore o catalizzatore di reazione, ossia partecipa a essa facilitandola, ma poi rimane disponibile per agire in una nuova trasformazione. La reazione appena scoperta dura circa due ore, ed è perciò molto più rapida di quello individuata dagli stessi ricercatori norvegesi solo 5 anni prima, che impiega circa 48 ore. 

Secondo gli scienziati molti indizi lasciano presupporre che enzimi simili possano agire anche sulla cellulosa. “Si tratta di una scoperta fondamentale” ha dichiarato il responsabile della ricerca all’agenzia Reuters. Nel frattempo proseguono le ricerche per verificare le possibilità di applicazione su grande scala della nuova scoperta.

Pagine correlate