Vocazione fossile
Milano, 24 gennaio 2023 - 16:25

Vocazione fossile

Il Piano Mattei presentato dal Governo in occasione del viaggio in Algeria è un vero e proprio atto di politica energetica. Completamente fossile.

Alla fine il Governo butta la maschera. Dopo che il programma di Fratelli d'Italia in campagna elettorale ha aperto, a parole scritte, alle rinnovabili, dopo le rassicurazioni, a parole dette, sullo snellimento delle procedure autorizzative da parte del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Pichetto Frattin, arrivano i fatti.

E sono fatti fossili. Con il viaggio in Algeria del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, scortato dall’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi si è dato il via al Piano Mattei. È inutile giraci attorno: si tratta di un piano che prevede un accordo fossile sul metano, nonostante la nota diffusa da Eni dica: «L’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e l’amministratore delegato di Sonatrach, Toufik Hakkar, hanno firmato oggi ad Algeri accordi strategici che delineano i futuri progetti congiunti in materia di approvvigionamento energetico, transizione energetica e decarbonizzazione. Le società condurranno studi per individuare possibili misure di miglioramento della capacità di export di energia dall’Algeria verso l’Europa».

Si parla in maniera generica di "energia", però si tratta di metano e l’iniziativa con l’Algeria s’inserisce a pieno nelle strategie fossili di Eni e quindi del Governo, che maschera questo passaggio approfittando dell’emergenza Ucraina e della necessità di ridurre la dipendenza dal gas russo. Con altro gas fossile.

Vediamo i numeri. Nel 2021 sono arrivati in Italia dalla Russia circa 29 miliardi di metri cubi, a fronte di un consumo di 68,7 miliardi di metri cubi. Una percentuale importante che si è ridotta nel 2022 a 11,2 miliardi di metri cubi, mentre l’Algeria ha aumentato l’export verso il Belpaese del 12%, passando dai 21,2 ai 23,7 miliardi di metri cubi. Una percentuale di un certo peso, che non potrà aumentare più di tanto perché la capacità del gasdotto Transmed-Enrico Mattei che collega l’Algeria all’Italia è al massimo di 30 miliardi di metri cubi.

Ragione per la quale il tandem Eni-Governo sta progettando il raddoppio del gasdotto o il suo potenziamento. E non solo per uso interno. Il progetto è quello della trasformazione dell’Italia in un hub del gas attraverso il potenziamento di tutte le infrastrutture per la distribuzione come gasdotti, rigassificatori e rafforzamento della rete interna per fare arrivare il metano al centro dell’Europa e poter sviluppare business fossile per i prossimi anni.

L’Algeria è tra i primi dieci produttori di metano al mondo ed è il secondo produttore in Africa, dopo la Nigeria. Il paese ha anche grandi riserve di metano non convenzionale, tra cui il metano estratto dalle formazioni di shale e il metano idratato, sulle quali sta puntando, oltre al gas naturale convenzionale. L'Algeria sta anche esplorando l'esportazione di metano liquefatto per i mercati internazionali, come un modo per diversificare le sue fonti di reddito e aumentare la sua influenza globale.

In questo quadro è ovvio che la collaborazione bilaterale messa in piedi dall’Italia, a onor del vero iniziata con il precedente Governo Conte, e da Eni, intenda come “decarbonizzazione” quella della diminuzione delle emissioni, magari rispetto al carbone, grazie al gas naturale. E si tratta di un investimento a senso unico. La spesa infrastrutturale per fare tutto ciò, infatti, secondo alcuni studi ha un tasso di ritorno sugli investimenti tra il 7 e il 12% annui, per cui andiamo su tempi tra gli 8 e i 15 anni, dopodichè bisogna considerare l’inerzia industriale dovuta agli investimenti accessori relativi all’utilizzo del gas naturale negli usi finali. Ed ecco quindi che s’arriva ai 25 anni classici di un ciclo energetico. Tradotto: una scelta così massiccia oggi sul gas naturale ipoteca, in questa direzione, la politica energetica dell’Italia, e a cascata dell’Europa centrale, da oggi al 2048, con buona pace degli obiettivi sulle rinnovabili di Bruxelles che prima fissa dei paletti per le emissioni e poi li abbatte ammettendo il gas naturale all’interno delle fonti previste per la tassonomia verde. Con buona pace del Governo e di Eni che così possono, a pieno titolo, citare la parola “decarbonizzazione” nei propri comunicati stampa.

Si tratta d’investimenti che saranno un doppio ostacolo per le rinnovabili perché se un lato dreneranno liquidità per le fonti verdi sui mercati, dall’altro potranno fare una concorrenza feroce sui prezzi una volta conclusa la crisi dell’Ucraina. Non bisogna dimenticare, infatti, che si potrebbe passare rapidamente da uno shortage del gas naturale a una abbondanza d’offerta visto che tutta Europa si sta attrezzando con infrastrutture per il gas, specialmente sul fronte dei rigassificatori.

Certo l’Italia, vista la possibilità di raddoppio non solo del Trensmed ma anche del Tap, gioca un ruolo di primo piano visto che queste due vie d’approvvigionamento sono molto meno costose della rigassificazione. Ma bisogna tenere conto che gli scenari da qui a pochi anni potrebbero essere radicalmente cambiati sul fronte del gas naturale. A parte un possibile cambio di guardia al Cremlino, i nuovi attori del mercato del gas naturale trasportato via nave potrebbero rispondere a un eccesso dell’offerta globale con drastiche riduzioni di prezzo incontrollate.

Cosa possibile visto che l'Opec controlla solo il 16% delle forniture mondiali di gas naturale.

Direttore Nextville*