Lo scenario futuro che il Governo sta tracciando è fossile. Pienamente fossile. Ma andando a tutto gas viene messo in secondo piano lo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell'economia circolare.
Nello scorso editoriale abbiamo fatto il punto sulle ambizioni fossili del Governo. Allo scenario che abbiamo descritto, però, mancavano alcuni tasselli che lo rendevano un po’ sfocato, ma ora negli ultimi giorni il puzzle si è composto nella sua completezza e si intravede appieno lo scenario futuro che il Governo Meloni sta tracciando e che è fossile. Pienamente fossile. Fino a qualche giorno fa mancavano gli accordi con la Libia e le informazioni sulle nuove concessioni per il gas naturale al largo del Libano. E il piano è stato svelato al Foglio dall'ex AD di Eni Paolo Scaroni.
La prospettiva è in sostanza quella di "rovesciare l'Europa del gas" con un sud che rifornisce il nord e con l'Italia che fa da ponte per imponenti quantità di gas che dovrebbero dare un approvvigionamento sicuro e costante e, forse, a costi più bassi, al nostro paese e sostituendo le importazioni dalla Russia. E non solo. L'idea è anche quella di fare affari con il transito del gas e di "calmierare" il prezzo del gas naturale da rigassificazione proveniente dal Qatar e dagli Stati Uniti. Un ottimo piano se lo avesse fatto Enrico Mattei nel 1960, quando il gas naturale era una fonte pressoché sconosciuta, il mercato era in ascesa e si registrava una concentrazione di CO2 in atmosfera "solo" di 316.91 ppm. Oggi siamo a 418,95 ppm.
Si tratta di un piano che è fuori dalla storia e che rischia di portare l'Italia a una posizione di retroguardia rispetto alla decarbonizzazione e alle rinnovabili. Andando a tutto gas, cosa che ha ribadito anche il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Pichetto Fratin che si è pronunciato a favore del raddoppio del gasdotto Tap, viene messo in secondo piano lo sviluppo delle fonti rinnovabili, ignorando il fatto che possiedono un doppio profilo strategico: la decarbonizzazione e lo sviluppo manifatturiero degli impianti per la produzione da rinnovabili. Con riflessi negativi anche sull’economia circolare, settore nel quale siamo in buona posizione. Non deve sfuggire, infatti, la relazione tra rinnovabili ed economia circolare che è fondamentale in un'ottica di decarbonizzazione. Il recupero di materia spinto da fonti fossili è, infatti, un’anatra zoppa.
In Italia, oltretutto, la scelta fossile coincide con le nuove disposizioni europee in risposta all’Ira (Inflation reduction act) messo a punto dal Presidente Usa Joe Biden che prevede il finanziamento per 369 miliardi di dollari per stimolare i settori industriali a stelle e strisce legati alla sostenibilità. Bruxelles, che ha già versato molto per la pandemia con i PNRR non farà piani di finanziamento in conto capitale ma ha demandato gli aiuti alle imprese legate alla sostenibilità ai singoli stati allentando le barriere agli “aiuti di Stato”. In un contesto simile, già l'Italia appare svantaggiata perché ha un deficit molto più alto delle proprie dirette concorrenti, come Francia e Germania – che hanno chiesto e ottenuto lo "sblocco" rispettivamente di cifre dell'ordine del 6 e del 9% del Pil, mentre l’Italia solo del 3% — , e se a ciò sommiamo un Governo "distratto" dalle fossili e che impegnerà risorse per trasformare la Penisola in un hub del gas, possiamo immaginare lo spazio, nei piani economici nazionali che sarà riservato alle rinnovabili e a cascata all’economia circolare. Molto ma molto ridotto.
*Direttore Nextville