Clima&valore
Milano, 10 luglio 2023 - 13:01

Clima&valore

Analizzare le tendenze delle emissioni non basta. Per tentare d’arginare il disastro climatico è necessario affrontare il paradigma fossile alla radice, ribaltando il concetto di valore.

Clima. Le ultime analisi dell'IPPC e della IEA affermano che la finestra utile per contenere l’aumento di temperatura entro 1,5°C al 2100 scade nel 2030, mentre la concentrazione di CO2 e le emissioni annuali continuano a crescere. Un bollettino di guerra climatica nel quale ci sono tutti i segnali, nessuno escluso, di una "Caporetto" certa e non ci sarà un "Piave" che faccia da argine. Perché come ben sa chiunque s’occupi d’energia e infrastrutture energetiche i "cicli energetici" durano minimo 25 anni, ragione per la quale le scelte fatte oggi in direzione delle fossili produrranno CO2 per i prossimi decenni, cosa confermata dai dati di scenario che spesso si tende a non mettere assieme perché in poche righe tracciano un panorama fosco, se non buio. Vediamoli a partire dall’economia e non dal clima. Secondo il Fondo Monetario internazionale (IMF) il Pil mondiale crescerà dai 102.000 miliardi di dollari del 2022 a 206.000 miliardi nel 2037, mentre secondo l’Agenzia Internazionale per l’energia (IEA) l’utilizzo delle fonti fossili a livello mondiale calerà dall’80% del 2022 al 60% del 2050, passando per un 75% al 2030. Quindi dovrebbe essere chiaro che il raddoppio del Pil al 2037 sarà realizzato con un mix energetico fatto per un 65-70% circa di fonti fossili, con tutto ciò che consegue in fatto d’emissioni di CO2. Ciò che serve, oggi, quindi è una rapida conversione ecologica e non una lenta transizione.

Punti di rottura

La conversione ecologica è un punto di rottura, con un'inversione di rotta di 180 gradi, che investe, oltre alla questione climatica anche i limiti planetari che sono noti fin dal rapporto del Club di Roma del 1972. Economia, società, risorse, produzione nessun aspetto dell’attività umana è esentato dalla conversione, in quanto il tasso di connessione globale ormai è totale, al contrario delle grandi crisi del secolo scorso. Le due guerre mondiali, per esempio, riguardarono aree relativamente piccole del Pianeta, con un impatto ambientale relativamente scarso, rispetto a ciò che ci aspetta oggi e soprattutto ebbero una fine, così come la hanno avuta la pandemia d’influenza del 1920, la "Spagnola", e quella più recente dovuta al virus Sars Covid 19. I cambiamenti climatici ora toccano, e con gravi conseguenze, zone come la Groenlandia, L'Antartide, gli oceani e la Siberia, solo per fare alcuni esempi sul fronte geografico, mentre le conseguenze sociali si manifestano, con gradi diversi, a tutte le latitudini come nelle zone più povere del Sahel in Africa o le grandi, e ricche metropoli quali Roma, New York e Tokyo.

Valore bloccato

Con danni sempre più evidenti, mentre nelle varie Conference of the Parties (COP) sul clima che si tengono ogni anno dal 1997, rimane bloccato il meccanismo "Loss and damage", attraverso il quale andrebbero risarcite le comunità che subiscono le conseguenze del cambiamento climatico in una misura che va oltre ciò a cui le persone possono adattarsi, o quando esistono delle opzioni d'adattamento disponibili, ma non vi si può accedere o utilizzarle. È un concetto così controverso che a oggi, non esiste una definizione ufficiale di "Loss and damage", approvata dalle Nazioni Unite. E si tratta di un punto talmente divisivo che mette a rischio il già traballante sistema delle COP. A Bonn, il 14 giugno 2023 agli incontri preparatori della COP 28 di Dubai è stata approvata l’agenda dell'assise internazionale e non ci sarà la discussione sul "Mitigation Work Programme", ossia quella sulla riduzione delle emissioni, perché alcuni Paesi in via di sviluppo si sono opposti a ciò, vista l'assenza di discussioni concrete sul varo e potenziamento, degli strumenti solidali di finanza climatica, come il "Loss and damage". Il valore — con tutti i concetti che ruotano attorno — quindi è un fattore determinante nella lotta ai cambiamenti climatici, ma in sostanza ignorato, sia in sede COP, sia in sede di governi nazionali ma anche, e troppo spesso, da chi si occupa di lotta contro i cambiamenti climatici.

Valore divisivo

E si tratta di una "dimenticanza" che potrebbe portare alla sconfitta climatica, ma che è complessa da neutralizzare perché si tratterebbe di modificare in maniera radicale la forchetta distributiva del valore che è sempre più iniqua. A livello mondiale non esistono esperienze rilevanti di "modifica del valore",  ma un primo innesco embrionale di un processo simile potrebbero essere le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) nelle quali il valore dell’energia passa da quello di scambio a quello d’uso. Se le CER saranno seguite da un attento lavoro sociologico si potrebbero gettare le basi, proprio i Italia, per una ridefinizione del concetto di valore dell’energia che essendo alla base della definizione del valore delle merci, consentirebbe l’inizio di un cambio di paradigma energetico/ambientale.