La crisi climatica sta dimostrando tutta la propria "potenza" alla quale non si reagisce con gli strumenti politici giusti
Siamo nel pieno di una crisi climatica, con le temperature intorno al globo, e anche in Italia, che non fanno altro che registrare record, con effetti sulla vita quotidiana. Non si contano più i black out anche d'intere giornate, nelle metropoli italiane con interruzioni dell’elettricità che arrivano anche alle 15-24 ore. E gli effetti si fanno sentire. Cittadini con problemi di salute che sono impossibilitati a tenere accesa l’aria condizionata, catena del freddo interrotta in molti settori della distribuzione crisi della distribuzione idrica, come a Catania dove oltre a mancare l’elettricità manca anche l’acqua e nel frattempo le temperature raggiungono i 45 gradi. Con il caldo, l'infrastruttura elettrica a bassa e media tensione va in crisi, sia per il fatto che non è stata adeguata negli anni per una domanda crescente come quella di questa fine di luglio, nella quale si sommano attività produttive e necessità di raffrescamento, sia per l’adeguamento fisico di una rete che non regge l'ondata di calore alla quale è sottoposta. Una crisi vera alla quale un modello distribuito, nel quale la produzione elettrica coincide con il punto di consumo e che può bypassare i punti di crisi e con la quale il picco di produzione, come nel caso del fotovoltaico, coincide con quello di consumo. Insomma le rinnovabili sono la soluzione efficiente ed efficace a questa crisi, eppure sono pochi gli ambientalisti che hanno usato questa opportunità, squisitamente politica, ma anche ricca di contenuti, per contrastare il negazionismo climatico che in questo periodo ha rialzato la testa.
Nonostante le evidenze, fisiche e scientifiche, infatti, s’inaspriscono le polemiche negazioniste sui cambiamenti climatici che però hanno una caratteristica inedita. Non si soffermano più sul negare l’evidenza, ma insistono, e con una buona presa sull’opinione pubblica, sul cambiamento dello stile di vita imposto dai cambiamenti climatici. Si tratta di un processo che nelle convinzioni, inesatte, degli ambientalisti, avrebbe dovuto essere “pacifico” e “indolore”. Una sorta di transizione dolce che in realtà dolce non sarà. Chi s’illudeva che si sarebbe potuta affrontare la questione climatica, e i limiti planetari, in maniera equa e solidale oggi è smentito nei fatti da chi difende lo status quo, ambientale, economico e sociale, affermando che non è possibile derogare allo stile di vita fossile in nessun modo, arrivando a creare una serie di classici sociologici dei momenti di crisi.
La scelta è ampia. Si va dal dare la responsabilità massima dei cambiamenti climatici alla Cina – il nemico esterno non è mai passato di moda – che un’analisi dei dati dozzinale e frettolosa pone ai vertici delle emissioni, fino all’invenzione complottista di una non meglio precisata “lobby internazionale green” che avrebbe deciso per propri interessi le sorti del Pianeta facendolo “decrescere” di sua volontà. Si tratta di tesi che possono essere smentite in poche righe, ma solo con una lettura “razionale” dei fenomeni.
In realtà si tratta di comunicazioni che seppure imprecise hanno delle "peculiarità" particolari, quali:
1) si tratta di tesi monodirezionali che mettono al centro una relazione causa effetto semplice e sintetica da esprimere ed altrettanto da percepire;
2) sono argomenti che fanno una critica radicale del pensiero scientifico complesso proprio per minare alla base l’informazione sul clima;
3) si tratta contenuti che fanno leva su ragioni psicologiche profonde quali la perdita, l’abbandono e la mancanza;
4) spesso sono argomenti che fanno leva sulle “libertà” individuali, ignorando nei fatti i beni collettivi;
5) si tratta d tesi tutte svolte sul presente, con opzioni politiche che spesso puntano al passato e che volutamente ignorano qualsiasi prospettiva futura.
Un arsenale comunicativo così ben definito dietro al quale, volendo, si potrebbe cercare una regia occulta e strutturata come quella messa a punto dal primo Steve Bannon per Donald Trump. In realtà non è così. Esiste un sistema sociale e di mercato basato, con una grande dose di consapevolezza, sulle fonti fossili che reagisce a livello comunicativo nella maniera più appropriata che conosce: quella messa a punto in oltre ottanta anni attraverso concetti “positivi” legati allo sviluppo esponenziale. Il problema di fondo è che oggi di fronte allo scontro frontale la comunicazione usata dagli ambientalisti sul clima sembra, nei fatti, soccombere. E prova di ciò risiede nella scarsa reazione, da parte degli ambientalisti, all’epidemia di black out elettrici che sta affliggendo lo stivale.
Si tratta di distrazione o perdita della capacità di decodifica – e reazione – politica da parte degli ambientalisti? Se così fosse ci si troverebbe di fronte a un’incapacità di dare una risposta politica alle crisi ambientali. Cosa che potrebbe portare, in un prossimo futuro, a una sostanziale mancanza di risposta politica alternativa alla crisi climatica fossile.
*direttore di Nextville