Il primo vero atto di politica industriale del Governo italiano in materia d'energia è verso l'atomo. Una scelta che guarda al passato
Il governo ci riprova con l'atomo. Con una dichiarazione al Forum Ambrosetti il ministro dell'Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, ha convocato per il prossimo 21 settembre la prima riunione della "Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile". Già sul nome della piattaforma si potrebbe aprire una discussione, poiché l'uso dell'aggettivo "sostenibile" sembra essere più una strategia di marketing che una caratteristica intrinseca della generazione energetica e indica, all'opinione pubblica, il nucleare come una fonte per l'appunto sostenibile al pari delle rinnovabili. Ma andiamo avanti. «La "piattaforma" costituirà il soggetto di raccordo e coordinamento tra tutti i diversi attori nazionali che a vario titolo si occupano di energia nucleare, sicurezza e radioprotezione, rifiuti radioattivi, sotto tutti i profili. In particolare, si punta allo sviluppo di tecnologie a basso impatto ambientale e a elevati standard di sicurezza e sostenibilità», si legge nel comunicato stampa presente sul sito del MASE ed è interessante notare come in poche righe si mettano assieme la gestione dei rifiuti radioattivi, la sicurezza e la radioprotezione con la generazione di energia nucleare, che oltretutto abbiamo cessato d'utilizzare dopo i due referendum, del 1987 e del 2011, smantellando i tre reattori in esercizio negli anni ottanta – Caorso, Latina e Trino Vercellese — e bloccando i due di Montalto di Castro che erano all'epoca in costruzione, mentre la centrale di Sessa Aurunca era già ferma e in via di decommissione a causa di un guasto la cui riparabilità non fu giudicata dall'Enel che allora la gestiva. Oltre a ciò nei primi anni duemila sempre la stessa Enel abbandonò la partecipazione del 25% nel reattore EPR di Flamanville, di terza generazione plus e non di quarta come viene affermato spesso.
Atomo ancora presente
La stessa Enel, però non ha mai abbandonato definitivamente l'atomo e dispone di una capacità nucleare di oltre 3,3 GW in Spagna, detiene una partecipazione di circa il 33% nella società slovacca Slovenské elektrárne che ha recentemente collegato alla rete il primo dei due generatori a turbina dell'unità 3 della centrale nucleare di Mochovce e ha firmato un accordo, nella primavera scorsa con newcleo che lavora per realizzare reattori definiti "innovativi" che usano combustibile prodotto da scorie nucleari. «Il primo passo della delivery roadmap di newcleo sarà la progettazione e la costruzione di un Mini LFR (Lead Fast Reactor) da 30 MWe, primo nel suo genere, da realizzare in Francia entro il 2030, seguito rapidamente da un'unità commerciale da 200 MWe nel Regno Unito. Allo stesso tempo, newcleo investirà direttamente in un impianto di manifattura di MOX (Mixed uranium/plutonium Oxide, prodotto da scorie nucleari esistenti) per alimentare i suoi reattori», si legge in un comunicato stampa di Enel. Il fatto che l'attività di newcleo sia prevalentemente all'estero va in contraddizione con altre dichiarazioni del ministro che afferma: «L'attività della piattaforma, coordinata dal MASE con il supporto di RSE (Ricerca sul Sistema Energetico) e di Enea, sarà finalizzata anche a rafforzare il contributo dell'Italia nella ricerca e nell'alta formazione universitaria (corsi di laurea, laurea magistrale e dottorati di ricerca), implementare la cooperazione e la partecipazione a livello europeo e il coordinamento dei progetti e delle attività a livello nazionale tra Università ed enti di ricerca». In pratica si vogliono formare profili professionali per l'estero? Oppure il fine vero è quello di preparare un terreno "fertile" per la reintroduzione del nucleare in Italia? Il dubbio è legittimo visto che la dichiarazione del ministro è un vero atto di indirizzo e di politica industriale con tanto d'impegno di fondi pubblici e non sono noti a chi scrive atti simili per quanto riguarda le rinnovabili, l'accumulo, la mobilità elettrica e l'efficienza energetica. Anzi queste ultime due sono osteggiate nei fatti visto che da parte del Governo si difende l'indifendibile motore endotermico e ci si oppone alla prossima direttiva europea sull'efficientamento degli edifici. Cose che avranno, queste si, gravi ripercussioni sul fronte dell'occupazione e del Pil. Si tratta, quella del ministro, quindi di una politica industriale a senso unico verso un'unica fonte energetica che s'unisce alla scelta fatta dal Governo e da una delle maggiori partecipate energetiche, l'Eni, di fare dell'Italia l'hub europeo del gas anche e soprattutto in funzione dei nuovi giacimenti scoperti dal gigante fossile partecipato al 33% dallo Stato, nel Mediterraneo e in Mozambico. Si tratta di scelte che pagheranno, forse e il condizionale è d'obbligo, sul breve periodo, ma di sicuro non sul medio e lungo periodo, visto che la maggioranza degli investimenti in nuova generazione sono da oltre cinque anni polarizzati sulle fonti rinnovabili.
Modelli contrapposti
Atomo e gas sono, in realtà, scelte fatte da chi s'oppone al cambiamento del modello energetico da centralizzato, con fossili e nucleare, a distribuito con le fonti rinnovabili. Siamo all'alba di una svolta radicale nel mondo dell'energia, simile a ciò che successe con il trasporto passeggeri da una sponda all'altra dell'Oceano Atlantico verso la metà del secolo scorso, dove si sostituirono i mercantili con i voli civili nell'arco di un paio di decenni. Tra una ventina d'anni vedremo le grandi centrali con gli stessi occhi di chi vedeva i transatlantici negli anni settanta: scafi lenti, poco agili e giganteschi, buoni al massimo per i musei. L'Italia con il suo tessuto di conoscenze industriali distribuite e la sua capacità di ritagliare su misura le soluzioni tecnologiche potrebbe essere una delle nazioni capofila nel cambiamento dei modelli energetici. Però è necessario crederci fermamente, cosa che questo Governo sembra non fare.
*direttore di Nextville