Il decreto sulle Comunità energetiche è arrivato, ma s'inserisce in un contesto ostile alla decarbonizzazione pilotato dalle fossili. Anche a Cop 28
Finalmente è arrivato il decreto sulle Comunità Energetiche Rinnovabili e la loro creazione, stabile e consolidata, potrà finalmente partire. Si tratta di un provvedimento molto atteso che è stato bloccato a Bruxelles per mesi, pare per la necessità di derimere se l'incentivo alle imprese, che sono tra i soggetti ammessi alla costituzione delle CER, si potesse configurare come "aiuto di stato" che lede la concorrenza. Guarda caso questo paletto lo si è trovato, e per fortuna risolto, proprio sulle fonti rinnovabili, mentre qualche anno fa per le disposizioni sul “capacity market”, ossia gli incentivi per le centrali alimentate a fonti fossili che dovrebbero essere tenute pronte in caso delle necessità della rete, nessuno obbiettò circa gli aiuti di stato e il percorso fu molto meno accidentato. Due pesi e due misure. Di sicuro il tetto che "impedisce" alle imprese di superare certi limiti d’incentivazione nel quadro delle CER è penalizzante per uno dei tre attori, gli altri sono cittadini e pubbliche amministrazioni, che potrebbe essere assieme ai cittadini un catalizzatore delle CER, ma oggi i problemi del decreto sono altri. Due limiti potrebbero essere degli ostacoli sul medio e lungo periodo e sono l’indizio che le norme guardano a un orizzonte di breve periodo. Si tratta dell’allaccio di produzione e consumo alla cabina primaria e del limite di un MWe per gli impianti di produzione. Il primo impedirà lo sviluppo massiccio delle CER nelle aree metropolitane, mentre il secondo è un limite anacronistico, specialmente quando la parola d’ordine è quella della decarbonizzazione urgente, visti il peggiorare della situazione climatica che ostacolerà in primo luogo le imprese che spesso possiedono superfici sui tetti o nelle zone limitrofe agli stabilimenti in grado d’ospitare potenze ben maggiori.
Comunità limitate
L’impressione è che il legislatore abbia voluto sbloccare le CER, ma abbia fissato dei limiti per confinarle in un quadro di sviluppo stretto, per consentire la crescita, sul breve e medio periodo, della generazione da fonte fossile. Insomma si possono toccare solo pezzi di mercato marginali. Si può spiegare solo così la lentezza del Governo nello sblocco dei procedimenti autorizzativi per le rinnovabili, incagliati da lungo tempo in un'intricata matassa di regole nazionali e regionali e i ritardi nell’impostazione di una seria politica industriale sulle fonti verdi, visto che il provvedimento FER2 sulle rinnovabili innovative è fermo da tempo, della creazione di hub per l'eolico off shore non c'è traccia e non si vedono all’orizzonte provvedimenti per l’efficienza energetica sia industriale, sia abitativa. Nel frattempo qualcosa sta cambiando, in peggio, nelle due aziende energetiche di Stato. Enel sta dismettendo una serie di asset rinnovabili esteri fondamentali come il fotovoltaico in Cile e la geotermia negli Usa ed Eni sta investendo, e scoprendo, enormi riserve di gas fossile nel Mar Mediterraneo e a ridosso del Canale di Suez. Tutto a portata di navi gasiere e di rigassificatori che guarda caso sono stati autorizzati in tempi molto veloci.
Big Oil svelata
Nel frattempo a Cop 28 il re è nudo. Le più fosche previsioni della vigilia di Cop 28 sono diventate realtà e l’affidare questa edizione della Conference of the Parties sul Clima agli Emirati Arabi Uniti, ha svelato all’opinione pubblica, anche internazionale, quali sono le vere intenzioni delle lobby petrolifere. Sviare l’attenzione dalle fonti fossili sollevando una cortina fumogena. La cortina fumogena è stata l’accordo Loss&damage reso attivo il primo giorno, con una somma insignificante di 250 milioni di dollari, lo 0,25% dei 100 miliardi promessi, lo 0,06% dei 400 miliardi necessari per riparare i danni del clima, secondo gli scienziati e gli economisti. Ma la cortina fumogena ha retto poco.
Le dichiarazioni del sultano Al Jaber degli Emirati, presidente della COP 28, ma anche della compagnia petrolifera di stato, ADNOC, ha affermato, rispondendo in modo irascibile all'ex inviata delle Nazioni Unite per il clima Mary Robinson, durante un evento on line il 21 novembre scorso: “Mostratemi la tabella di marcia per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili che consentirà uno sviluppo socioeconomico sostenibile, a meno che non vogliate riportare il mondo nelle caverne” e ha aggiunto: “non esiste alcuna scienza, o nessuno scenario, che affermi il fatto che l’eliminazione graduale dei combustibili fossili è ciò che permetterà di raggiungere l’obiettivo degli 1,5°C”. La registrazione diffusa dal Guardian, il quotidiano britannico che è in prima fila nella difesa del clima al punto che non accetta pubblicità di aziende fossili, ha fatto il giro del mondo ed ha sconvolto molti di coloro che affollano in questi giorni i padiglioni della Cop. La realtà è che il sultano Al Jaber ha reso noto quello che è il pensiero delle compagnie petrolifere di tutto il mondo nessuna esclusa. Ossia continuare a usare le fonti fossili a pieno regime almeno fino al 2060, periodo nel quale, forse, sarà disponibile il nucleare a fusione che a Big Oil va benissimo, visto che si tratta di grandi impianti che eviteranno di mettere l’energia in mano ai cittadini. Al contrario delle rinnovabili.Insomma il quadro che si sta delineando per l’Italia, ma non solo, è quello di poche e ridotte rinnovabili e molto gas. Speriamo che un’impetuosa crescita delle CER faccia da traino a tutte le rinnovabili, freni il gas fossile e metta la parola fine alla farsa nucleare, con un Macron che alla Cop 28 ha “invocato” l’aiuto della comunità internazionale per il “suo” nucleare che arranca e che viene usato come cortina fumogena per allungare la vita del gas fossile stesso. Con le CER usate come grimaldello, in Italia, in Europa e nel resto del Pianeta, e la crescita della produzione energetica dal basso si potrebbero innescare per la prima volta processi di democrazia energetica. Non dobbiamo arrivare al 2060 a 599,97 parti per milione di CO2, dalle 422 ppm di oggi. Il conto è semplice basta moltiplicare il valore dello scorso anno 4,81 ppm per i 37 anni che ci separano dal 2060. Se poi ciò dovesse accadere. nessun problema per i ricchi del mondo ai quali Big Oli venderà tutto ciò che è necessario per adattarsi al cambiamento climatico. Per coloro che rimarranno fuori è un altro discorso.
*direttore di Nextville
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