Le nostre società appaiono assolutamente inadeguate alla sfida climatica
Passata l’enfasi dell’ennesimo “accordo storico” alla COP 28, sul clima è sceso il silenzio. Mediatico. Ma se noi non ci occupiamo di clima il clima si occupa di noi. Inondazioni mortali in California, incendi devastanti in Cile emergenza climatica e idrica in Spagna sono solo alcuni dei segnali apparsi in queste settimane dopo che il 2023, ora ufficialmente l’anno più caldo della storia è stato seguito dal gennaio (2024) più caldo di sempre. Molte regioni dell'emisfero settentrionale sono soffocate da una serie d’ondate di calore che sarebbero la normalità a giugno e non a febbraio, mentre da più parti arrivano allarmi di scienziati marini che sono scioccati dal calore intenso e prolungato sulla superficie degli oceani. E secondo la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti, il 2023 ha il 33% di possibilità di essere ancora più caldo rispetto al 2023.
In tutto ciò il presidente cileno, Gabriel Boric, ha dichiarato due giorni di lutto nazionale dopo che gli incendi boschivi più mortali mai scoppiati nel paese a memoria d’uomo hanno causato la morte di oltre 120 persone nella regione di Valparaíso, cosa che fa seguito a una siccità decennale nella zona e al passaggio da diverse foreste naturali, più resistenti al fuoco, a piantagioni di monocoltura, che sono più vulnerabili. Negli Stati Uniti, il governatore della California, Gavin Newsom, ha annunciato lo stato di emergenza poiché un “fiume atmosferico” (così lo ha definito), potenziato dall’insolitamente caldo Oceano Pacifico, ha scaricato quantità senza precedenti di pioggia su San Diego e sui distretti vicini, uccidendo almeno tre persone.
«Alimentata da condizioni meteorologiche e climatiche estreme, la frequenza dei disastri legati al clima è aumentata drammaticamente negli ultimi anni”, ha detto al Guardian, Raul Cordero, professore di clima presso l’Università di Groningen e l’Università di Santiago. “In alcune regioni del mondo stiamo affrontando disastri causati dal clima per i quali non siamo preparati, ed è improbabile che saremo in grado di adattarci completamente ad essi». «Abbiamo già bisogno di adattarci ai cambiamenti che abbiamo già causato, e l’adattamento diventerà sempre più difficile quanto più a lungo lasceremo il tempo necessario per ridurre le emissioni, ha affermato al quotidiano britannico Richard Betts, dell’Hadley Centre del Met Office nel Regno Unito».
E qui si apre un capitolo che riguarda l’Europa e l’Italia. Sul fronte dell’adattamento, infatti, se da un lato l’Europa viaggia a decine di velocità diverse, con l’Italia fanalino di retroguardia, c’è da dire che si muove in una direzione non esatta, o per meglio dire non completa. Dai più, infatti, l’adattamento è visto come un processo d’adeguamento di tutto ciò che può essere distrutto dagli eventi estremi, come imprese, infrastrutture e patrimonio edilizio, tutte questioni legittime e direi sacrosante, ma non derimenti. Manca l’adattamento sociale e psicologico ai cambiamenti climatici che è ignorato ai più.
Andiamo incontro a un’epoca che sarà sempre più costellata da segnali d’insicurezza, come quello, a prima vista innocuo, di una farfalla a febbraio in Valle d’Aosta a 2.000 metri d’altezza, e da eventi estremi, con conseguenze drammatiche e imponenti, come quelli di questi giorni, che se non sono vissuti in prima appaiono alla maggioranza della popolazione non coinvolta marginali e ininfluenti. Una larga fetta di popolazione mondiale, quella più benestante e a più alta intensità di carbonio, in realtà non è per nulla pronta ad affrontare la fase d’adattamento estremo, sul fronte psicologico e sociale, che sarà necessaria per affrontare i cambiamenti climatici. E non solo li subirà, ma s’opporrà in maniera radicale ai cambiamenti necessari, indotti dal nuovo scenario climatico. Lo stiamo già vedendo. Le critiche estreme alle fonti rinnovabili, alla mobilità elettrica e buon’ultima la rivolta degli agricoltori europei anche verso alle riforme ambientali del settore agricolo sono i sintomi dell’insofferenza sociale e psicologica, a qualsiasi forma d’adattamento ai cambiamenti climatici.
Se questo muro d’ostilità permarrà come ora, ma non è detto che non si rafforzi, la politica “liscerà il pelo”, come già sta succedendo, all’opinione pubblica più ostile al cambiamento, amplificando sia la gravità degli effetti dei cambiamenti climatici, lato emissioni, sia la capacità di resistenza che sarà indebolita dallo scarso adattamento al clima che cambia.
*direttore di Nextville