Stanno nascendo barriere inedite alle rinnovabili e alla transizione ecologica
Le rinnovabili in questo momento, in Italia, arrancano. Prese dal groviglio degli aspetti amministrativi le fonti d’energia decarbonizzate e diffuse sembrano essere al palo. Agli annunci di partenza che arrivano dalle massime cariche istituzionali non seguono, per ora, i fatti. Anzi, regioni in ordine sparso e informazione sembrano remare contro. In questo quadro significativa è la vicenda della Sardegna dove da alcuni anni è in corso una campagna martellante contro qualsiasi rinnovabile che non sia il fotovoltaico sui tetti domestici. Il primo bersaglio di ciò sono i 18 progetti di eolico off shore, per un investimento complessivo di 20 miliardi di euro che sono stati fatti oggetto di altrettanti ricorsi al Tar. Si tratta d’impianti che dovrebbero sorgere a più di 15 km dalla costa e che porteranno occupazione per oltre 10.000 addetti per la fase di costruzione e 5.000 posti di lavoro stabili per le operazioni di gestione e manutenzione, producendo 30 TWh/anno, il triplo dei consumi elettrici – ricordiamo che la Sardegna non ha la rete di gas naturale – processo che renderebbe l’isola autonoma, al 100% rinnovabile ed esportatrice netta d’energia elettrica. Caratteristiche positive? No per il Governo regionale, con la nuova presidente della Sardegna che alla prima conferenza stampa post-elezioni ha dichiarato di voler procedere con una moratoria delle fonti rinnovabili per bloccare i progetti eolici in “attesa” dell’approvazione della carta delle aree idonee. Tutte le moratorie per le rinnovabili adottate dalle regioni sono, allo stato attuale, state dichiarate anticostituzionali, ma ciò non sembra importare alla neopresidente della Regione Sardegna che ha come obiettivo quello di ritardare le rinnovabili, al punto che nel suo programma il metano è: «necessario solo come fonte di transizione» e ha aggiunto un intervento su Il Manifesto: «Crediamo sia necessario solo come fonte di transizione finché non sarà completato il passaggio verso il 100% di produzione dell’energia da fonti rinnovabili. Ma dobbiamo essere consapevoli che dal 2050 non sarà più consentito utilizzarlo come fonte di energia». Una dichiarazione che è in palese contraddizione con le dinamiche energetiche, specialmente quelle dell’isola, che non possiede una rete metanifera di distribuzione né gasdotti che possano rifornirla. E l’uso di rigassificatori navali come quello installato a Piombino sarebbe inutile in mancanza di una rete di distribuzione che andrebbe creata da zero e che sarebbe antieconomico dismettere solo dopo 25 anni. E si tratta della stessa Regione Sardegna che con la sua opposizione al solare termico a concentrazione fece perdere la corsa internazionale per questa rinnovabile, per la quale eravamo in pole position, con imprese e brevetti di prim’ordine. Ma lasciamo da parte i tecnicismi energetici e concentriamoci sugli aspetti sociologici.
Appelli inascoltati
La domanda da farsi è come mai una donna impegnata in politica in campo progressista, laureata in informatica e scienze dell’informazione all’Università di Pisa, manager d’azienda ai massimi livelli in un settore critico come il digitale, sottosegretario alle Attività Produttive, abbia una posizione di chiusura così netta sulle fonti rinnovabili. Un caso isolato? No. Qualche giorno fa è stato realizzato un reportage da una radio nazionale dando voce solo ed esclusivamente a chi si oppone all’installazione di pale eoliche e pannelli fotovoltaici nel viterbese a nord di Roma, mentre sono sempre più inascoltati gli appelli alla politica come quello di Legambiente, Wwf, Greenpeace e Kyoto Club, che poco prima del voto si sono rivolti ai candidati affermando: «La Sardegna si trova nelle condizioni ideali per costituire un vero e proprio laboratorio per la transizione energetica». Così come nella lettera aperta rivolta alla nuova presidente dell’isola da Cittadini per L'Italia Rinnovabile, in cui si auspica: «Una Sardegna che assume con coraggio l’idea della transizione energetica rinnovabile e ne fa un punto di forza, senza attardarsi in anacronistiche moratorie, in un Paese che è drammaticamente indietro nel ritmo di installazione di nuove rinnovabili, e che di fatto è già in moratoria permanente».
Barriere in crescita
Bisogna prendere atto che nonostante l’incalzare della crisi climatica, anche e specialmente alle nostre latitudini, stanno emergendo delle inedite barriere culturali, politiche e sociali alle fonti rinnovabili (costruite specialmente da chi avrebbe gli strumenti conoscitivi per evitarle), a tutto ciò che rappresenta l’innovazione sostenibile. La profonda trincea contro le fonti rinnovabili distribuite, la direttiva “annacquata” sulle abitazioni sostenibili, l’opposizione feroce alla mobilità elettrica, i lacci e lacciuoli alle Comunità energetiche rinnovabili – per le quali abbiamo redatto una guida – sono tutti segnali di una potente resistenza al cambiamento e all’innovazione, che ha come obiettivo i nascenti spazi di democrazia legati alla decarbonizzazione che si potrebbero aprire nei prossimi anni. Sarà la storia a sancire se si potrà vedere a questi anni come un periodo di rivoluzione o di restaurazione. È triste verificare nei fatti che l’innovazione energetica in Italia, come in Europa, non abbia a oggi “dei padri e delle madri” tra i nostri politici contemporanei. Con la consapevolezza che la crisi climatica non ci permette d’aspettare che si affacci sulla scena sociale una nuova generazione politica.