Visto si estragga
Milano, 24 aprile 2024 - 16:23

Visto si estragga

Buona parte del mondo dell’informazione italiana è sotto al tallone delle fonti fossili

È e rimane fossile l’informazione in Italia. Questa potrebbe essere la sintesi dell’ultimo report che Greenpeace Italia ha condotto con l’Osservatorio di Pavia, dal quale emerge che l’informazione sul clima per i principali media italiani, seppure sia aumentata nel giro di 12 mesi, rimane scarsa e sporadica. E oltretutto ciò avviene principalmente in occasione di disastri come quelli dell’Emilia-Romagna dello scorso anno. Le cause della mancanza di un’informazione corretta sul riscaldamento globale, secondo il rapporto, sono da ricercarsi nell’ingerenza delle aziende del gas e petrolifere sui media, in particolare sul fronte del budget pubblicitario che, inevitabilmente, si riflette sui timoni editoriali e sui palinsesti televisivi. Gli articoli nei principali quotidiani italiani dedicati al clima salgono da 2 al giorno del 2022 ai 2,7 del 2023, ma solo un terzo (0,9 articoli) è dedicato al clima.

Pubblicità fossile

Molto più marcato l’aumento dell’affollamento pubblicitario da parte delle imprese fossili, combustibili, automotive, compagnie aree e croceristiche che nel 2023 ha toccato le 1.229 inserzioni pubblicitarie, contro le 759 del 2022. E così si spiega perché ci sia una diminuzione dal 22% del 2022 al 15% del 2023 circa gli articoli che parlano delle cause dei cambiamenti climatici. Percentuale che scende al 5,5% nell’attribuzione della responsabilità del cambiamento climatico ai combustibili fossili, mentre si punta il dito contro le compagnie del gas e del petrolio in appena 14 articoli, su oltre 980 totali, in tutto il 2023. Praticamente un articolo al mese.

Su Instagram, canale di riferimento per i più giovani, il clima che cambia si attesta al 3,2% sul totale dei post pubblicati. Hanno dedicato più attenzione al riscaldamento globale Will_ita (9,6% ), Torcha (8,1%) e Domanieditoriale (7,8%), mentre sono fanalino di coda Corriere.it (1,3%), Ilfoglio (0,9) e l’Avvenire.it (0,7%).

Lo studio ha fissato anche la classifica dei principali quotidiani italiani, valutandoli attraverso cinque parametri: 1) quanto parlano della crisi climatica; 2) se citano i combustibili fossili tra le cause; 3) quanta voce hanno le aziende inquinanti; 4) quanto spazio è concesso alle loro pubblicità; 5) se le redazioni sono trasparenti rispetto ai finanziamenti ricevuti dalle aziende inquinanti. Risultati: unica sufficienza Avvenire (6 punti su 10), insufficiente La Stampa (4,2 punti), mentre sono insufficienti gravi Repubblica (3,8 punti), Corriere (3,2 punti) e Il Sole 24 Ore (3 punti).

Negare il clima

E la negazione nei fatti dei cambiamenti climatica è, in realtà, solo la faccia “migliore” della medaglia. Notizie e contenuti contrari alla transizione energetica, infatti, trovano sempre più spazio. In circa il 15% dell’informazione sul clima si è dato spazio al negazionismo, mentre sui social network si nota un incremento esponenziale delle fake news sulle tecnologie green. Auto endotermiche in fiamme spacciate per elettriche, grafici che visualizzano un raffreddamento del clima, imposizione per legge della farina d’insetti per “cause climatiche”, obbligo d’introduzione della carne coltivata a causa del Green Deal, sfruttamento minorile per l’estrazione delle terre rare. Queste sono solo alcune delle fake news ambientali che circolano in rete, e alcune, come abbiamo visto, trovano cittadinanza anche sui media più tradizionali e stanno “alimentando il dibattito” sulla transizione ecologica. Si tratta di un set d’informazioni che può promuovere un’ondata di rifiuto sociale, che a sua volta ha delle buone potenzialità di promuovere derive politiche reazionarie e di retroguardia. E se le fake news che abbiamo citato sono facilmente riconoscibili, il “contesto fecondo” che in realtà le legittima e supporta rimane, silenziosamente, in disparte. Si tratta di notizie “travestite” da informazione scientifica che legittimano uno scenario di retroguardia. Facciamo un esempio. Che rinnovabili come sole e vento siano intermittenti è un fatto chiaro, e chiara è la necessità di sistemi d’accumulo, oppure di fonti energetiche programmabili. Basterebbe, però, dichiarare l’indisponibilità di accumuli in quantità sufficienti e a prezzo basso e la necessità di fonti programmabili che però sono fossili per minare alle radici l’apporto che le rinnovabili possono portare alla decarbonizzazione e alla sicurezza energetica. Necessitano del ciclo combinato e sono intermittenti – che è sinonimo d’insicurezza – e per ciò è necessario il nucleare.  E così abbiamo non una fake news, ma una fake truth, composta di fatti autentici ma accostati in modo distorto al fine di favorire un’opzione come il nucleare che, detto tra parentesi, non essendo modulabile è una delle fonti meno adatte nei fatti a lavorare in supporto alle rinnovabili.

“Insicurezza” da rinnovabili

Così si compone una formula semplice, caratterizzata dalle rinnovabili intermittenti e insicure, le centrali a ciclo combinato che sono emissive, e la soluzione (che non è la soluzione) nel solido e “massiccio” nucleare. Un’equazione semplice che nasconde soluzioni per le rinnovabili come l’accumulo idroelettrico, la digitalizzazione delle reti, inintelligenza artificiale per le previsioni delle produzioni delle fonti rinnovabili e che cela anche i problemi per il nucleare, come i costi, i tempi lunghi di realizzazione, lo smaltimento delle scorie e la dipendenza geopolitica circa il combustibile. Con un gioco di specchi, fatto da realtà organizzate per mentire, in un contesto che assume il falso, si fanno scelte energetiche cruciali. E si tratta di un labirinto comunicativo così ben congegnato che diventa difficile anche solo da scalfire con gli strumenti della razionalità. Possiamo parlare dell’esistenza di 8 GWe d’accumulo idrico pronti all’uso ma utilizzati in minima parte, oppure della rete di trasmissione italiana che è tra le più digitalizzate ed efficienti al mondo, o ancora che avremo al 2030 una capacità di produzione di biometano capace di coprire buona parte del mercato della capacità necessario, ma il risultato sarà un’architettura comunicativa complessa, poco empatica e respingente che convincerà le persone a usare quella contrapposta. Il problema è che chi promuove l’uso delle rinnovabili ragiona sempre e solo sulla complessità del problema, ribaltandola sulla comunicazione. E ciò non funziona. Fino a quando i “rinnovabilisti” non useranno l’arsenale del “nemico”, ribaltandolo, avremo fenomeni come quelli che stiamo osservando. E difesa climatica e rinnovabili saranno sempre più vulnerabili ai colpi delle fossili. Al “visto si stampi” di buona memoria all’informazione italiana forse si addice di più il “visto si estragga”.