Il risultato elettorale nell’Unione europea farà perdere al Vecchio continente la leadership climatica
Il primo risultato delle elezioni europee sarà la perdita della leadership climatica del Vecchio Continente. Una leadership che non era tecnologica, considerato che l’Europa aveva da tempo demandato la manifattura di massa alla Cina, ma politica. E questa leadership politica è stata bocciata dalle urne nelle tre maggiori economie dell’Unione Europea. Germania e Francia hanno avuto la doccia fredda della svolta a destra con i risultati del 9 giugno, mentre l’Italia, che sulle politiche conservatrici è sistematicamente all’avanguardia, la “svolta” l’ha avuta due anni fa, con la Meloni che ha vinto in questa tornata elettorale su tutta la linea. È stata l’unica leader di governo dell’UE a uscire indenne dalla contesa elettorale, ha chiesto un referendum nazionale “sul suo nome” e lo ha vinto, ha ridimensionato gli avversari interni e si presenta al G7 2024 come leader di statura internazionale, con il francese Macron e il tedesco Scholz decisamente ammaccati dai risultati delle destre estreme, nei rispettivi paesi. E a tutto ciò dobbiamo aggiungere l’Austria, dove il partito di estrema destra Fpo è il primo partito con il 25,4%.
Clima di scarso interesse
Che ambiente, clima e transizione ecologica non fossero tra le priorità degli elettori lo si sapeva bene, e infatti negli ultimi mesi la politica di Bruxelles aveva tentato un recupero “annacquando” una serie di provvedimenti, primo tra tutti la direttiva sulle “case green”. Un sondaggio di Focaldata, pubblicato da Reuters, ha registrato che tra le richieste prioritarie dei cittadini degli Stati membri economia e inflazione sono al primo posto, con conflitti e guerre al secondo e immigrazione al terzo. Al quarto la riduzione delle disuguaglianze e al quinto il clima. L’indagine è stata realizzata il 6 giugno ed è stata condotta prendendo in esame Germania, Francia, Italia, Spagna e Polonia, più la Svezia. Insomma, i partiti di destra hanno interpretato “bene” i desiderata dell’opinione pubblica europea e sono stati premiati, anche se non c’è stato il ribaltone che avrebbe consegnato Bruxelles alla destra. In questo quadro il prossimo esecutivo europeo, anche se sarà guidato da Ursula von der Leyen, dovrà tenere conto delle destre, dell’indebolimento dei Verdi che perdono 18 seggi, perdita che ricadrà soprattutto sulle politiche climatiche che vedranno un netto ridimensionamento e rallentamento, con Meloni a dettare l’agenda in nome della difesa dell’industria fossile nazionale ed europea. Divieto d’incentivazione delle caldaie a gas, bando del motore endotermico, efficienza energetica negli edifici e fonti rinnovabili: tutti capitoli che torneranno sul tavolo e saranno oggetto di contrattazione a Bruxelles nei prossimi cinque anni, anche e soprattutto grazie al contributo di Giorgia Meloni, che su tutte queste questioni è già “addestrata” nei fatti a livello nazionale, come dimostrano il PNIEC poco ambizioso, non allineato agli obiettivi UE e votato anche al nucleare, il DL Agricoltura che bandisce il fotovoltaico a terra, la bozza sulle Aree Idonee che limita fortemente gli impianti a fonti rinnovabili, la drastica riduzione della Solar Belt per le imprese e e il contingentamento al ribasso, entro i 5 GW incentivabili, delle Comunità Energetiche Rinnovabili. Senza contare l’attacco, da parte della destra nostrana, all’auto elettrica in difesa di valvole e pistoni autarchici che passa anche attraverso la promozione dei biocarburanti “di Stato”, la promozione del nucleare, che sulla carta è in “salsa italica” ma che è inesistente sul mercato ed è senza una filiera nazionale, la tutela conservativa di quel colabrodo energetico che è il patrimonio edilizio nazionale che condannerà le prossime generazioni a bollette stratosferiche.
Conservatori a tutti i costi
Tutti elementi di conservazione dell’esistente, se non di reazione all’innovazione ecologica, che sono dettati da una borghesia, italiana ed europea, vecchia, spaventata dal nuovo del futuro, sdraiata sull’esistente dell’oggi e che fa muro al cambiamento. Il tutto nell’assoluto vuoto pneumatico, in Italia come in Europa, di politiche industriali minime che oggi non possono tenere conto del green, come dimostrano l’Inflaction Reduction Act degli Usa, che mette sul piatto 1.000 miliardi di dollari in dieci anni per le imprese, dei quali 800 sul green, o le politiche d’incentivo statale e di protezione interna delle politiche green da parte della Cina. E l’Italia è quella che ha da perdere di più su questo fronte. Abbiamo una leadership indiscussa sull’economia circolare, un ottimo posizionamento sull’accumulo e uno dei pochi stabilimenti europei per la produzione di pannelli fotovoltaici. Se la politica nostrana “ignorasse”, come ha fatto spesso in passato per altri settori industriali, il segmento green, oggi sarebbe già un buon risultato. Invece, assieme all’Europa più vecchia e conservatrice, remiamo contro, con risultati che saranno devastanti. Attori internazionali come Cina, Usa, Corea del Sud, India e Indonesia di sicuro non aspetteranno un cambiamento di rotta del Vecchio Continente per sviluppare proprie dinamiche sui mercati green. Così come di sicuro ad aspettare non sarà il clima.
*direttore di Nextville
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