Rimborsare il clima
Milano, 16 ottobre 2024 - 01:10

Rimborsare il clima

In Canada è a rischio una delle carbon tax più innovative del Pianeta. Un test indicativo per la politica sulla sostenibilità

L’attacco a qualsiasi riforma “green” passa spesso attraverso la disinformazione sistematica che trova una sponda nella politica, sia democratica sia conservatrice, per non parlare dell’estrema destra. Al punto da mettere sotto accusa persino politiche virtuose. Il caso del Canada è emblematico. Da tempo, il leader conservatore del Paese, Pierre Poilievre, parla di un futuro di fame di massa e malnutrizione, con tanto di minacce allo stile di vita canadese. Sono le emissioni climalteranti la causa di tutto ciò? No, anzi. Il colpevole è l’imposta federale sulle emissioni, che serve a frenare le emissioni di gas serra. Si tratta di una carbon tax, portata ad esempio come modello a livello globale, per due semplici caratteristiche: riduce le emissioni e mette denaro nelle tasche dei cittadini. È una norma che in Canada sopravvive ai governi di diverso colore dal 2018, ma ora è sotto attacco per ragioni squisitamente politiche. Si tratta di un'imposta neutrale in termini di entrate, perché il governo non trattiene denaro, ma lo restituisce interamente ai contribuenti sotto forma di rimborso trimestrale. In pratica, si tassano, per esempio, i carburanti; questo flusso di valore ritorna, magari, agli stessi cittadini quando adottano comportamenti virtuosi in merito alle emissioni.

Vantaggi virtuosi

Chiunque sia disposto a cambiare il proprio comportamento ne trae un vantaggio economico. Ma non solo: economisti, politologi e i responsabili del bilancio parlamentare hanno scoperto che le famiglie a basso reddito ricevono di più dal rimborso di quanto paghino in costi aggiuntivi. Una famiglia di quattro persone che vive in una comunità rurale nella provincia di Alberta riceve in media 2.160 C$/anno, pari a 1.440 euro, per il solo fatto di avere un bilancio di carbonio più favorevole. Il problema, ora, è che questa carbon tax, per i conservatori che hanno un significativo vantaggio nei sondaggi, serve per sfruttare la crescente frustrazione nei confronti del governo in carica e trasformare il voto federale in un referendum sulla politica climatica, puntando al semplice “tagliamo la tassa”, sostenendo che l’imposta pesa sui canadesi in un momento in cui affitti, generi alimentari e anche costi di trasporto sono aumentati.

Politica ignota

«Molti canadesi non capiscono che la politica li riguarda. Pensano che non funzioni e sono convinti di pagare più di quanto ricevano e in tutto ciò finisce la carbon tax perché gli elettori non la comprendono e hanno ricevuto informazioni errate», ha riferito al Guardian Kathryn Harrison, politologa presso l’Università della British Columbia. «Il clima e, più in generale, l'ambiente sono ora intrappolati in questa guerra culturale in cui i fatti non contano, in cui la verità non ha valore», ha affermato durante un dibattito Steven Guilbeault, Ministro dell'Ambiente e dei Cambiamenti Climatici del Canada. «È un problema legato agli elementi fondamentali delle nostre democrazie in tutto il mondo, molte delle quali sono indebolite da campagne di disinformazione». E tutto ciò succede nonostante il funzionamento di questa carbon tax sia stato modificato per comunicarne meglio l'efficacia. Inizialmente, il denaro veniva erogato come esenzione fiscale, ma pochi notavano i rimborsi. O meglio, c’era una scarsa percezione di ciò. Allora il governo iniziò a versare direttamente sul conto bancario dei cittadini il denaro in questione, ma anche in questo caso la percezione era scarsa perché le banche non specificavano la causale del versamento. È stata necessaria una modifica alla legge per costringere le banche a etichettare i pagamenti governativi con la dizione "Canada Carbon Rebate" scritta a chiare lettere. E la carbon tax funziona. Un recente rapporto del Canadian Climate Institute ha rilevato che l'imposta nazionale sul carbonio, che colpisce sia i consumatori sia l'industria, dovrebbe ridurre le emissioni fino al 50% entro il 2030.

Comunicazione ecologica

La questione pone importanti interrogativi sulla politica ecologista e sulla comunicazione della stessa. Per anni, il mondo ambientalista ha operato con la convinzione che bastassero delle buone politiche, magari virtuose, per avere successo, tralasciando le questioni sociali, psicologiche e antropologiche, e soprattutto ignorando in maniera sistematica il funzionamento del mondo dei media di fronte alle trasformazioni introdotte dal digitale, dove anche solo la singola impressione di una persona può provocare un terremoto politico sul fronte dei provvedimenti ambientali. In Italia, abbiamo avuto un esempio di ciò quando fu introdotto l’obbligo di pagamento – un centesimo di euro – per i sacchetti in bioplastica usati nei supermercati. Il cortocircuito tra il pagamento – di una cifra insignificante – e la necessità di limitare l’uso dei sacchetti per motivi ambientali provocò un’ondata di indignazione in vasti strati dell’opinione pubblica che ha lasciato, a mio modesto parere, una cicatrice psicologica verso tutto ciò che è green. Si tratta di fenomeni sociali che andrebbero studiati con attenzione, ma che invece buona parte dell’ambientalismo ha liquidato come marginali e non degni di attenzione. Il risultato di questo atteggiamento lo stiamo vedendo ora.

* direttore di Nextville