Per le fonti rinnovabili servono strategie industriali che in Italia e in Europa sembrano assenti, al contrario della Cina
Il fotone è tratto. Nei primi sette mesi del 2024, nel mondo, sono stati aggiunti 292 GW di nuova capacità solare, ma le proiezioni per l'intero anno indicano che si arriverà a 593 GW, segnando un aumento del 29% rispetto al 2023, quando erano stati installati 447 GW. Per l'Italia, potrebbe essere la stessa partita. Forse. Secondo i dati Terna di ottobre 2024 nei primi dieci mesi dell'anno la capacità rinnovabile in esercizio è aumentata di 6 GW, di cui 5,482 GW di fotovoltaico. Ciò potrebbe essere dovuto a un colpo di coda del Superbonus, ma la tendenza, anche per l'Italia, è in realtà netta. E da un lato ciò rappresenta un passo importante verso gli obiettivi delineati nel Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC), che mira a coprire il 63% del fabbisogno elettrico nazionale con energie rinnovabili entro il 2030. Tuttavia, con le politiche vigenti e l'introduzione di normative stringenti, questo trend rischia di arrestarsi, penalizzando il Sistema Paese e la transizione climatica, in particolare gli obiettivi climatici legati al processo di decarbonizzazione necessario.
Auto in frenata
Se si pensa alla questione legata alle rinnovabili, infatti, il collegamento logico che viene ad essere spontaneo è quello con l'industria automobilistica europea, e in particolare quella italiana, che sta attraversando una crisi strutturale e di competitività internazionale. Le vendite di veicoli sono in calo, con una diminuzione significativa delle immatricolazioni in Italia e una perdita di competitività a livello internazionale. Le immatricolazioni di nuove auto sono in forte calo: Francia -11,1%, Italia -10,7% e Germania -7%, mentre in Italia Stellantis è andata a picco, registrando un calo del 33,9% nelle vendite rispetto al 2023, con una quota di mercato che è scesa dal 32,6% al 24,1%. Con la Germania che ha visto anche un enorme calo delle immatricolazioni di auto elettriche che sono diminuite del 68,8% rispetto allo stesso mese dell'anno scorso, contribuendo al calo complessivo delle immatricolazioni delle auto elettriche del 43,9% nell'Unione Europea. Un declino che è spesso attribuito alle politiche ambientali, come il Green New Deal o il bando delle auto a motore endotermico previsto per il 2035; tuttavia, se si fa un'analisi più approfondita, affiorano cause più strutturali, legate alla mancanza di politiche industriali efficaci e a strategie aziendali orientate al profitto a breve termine.
Auto d'oro
Il settore automobilistico ha privilegiato la produzione di veicoli più costosi, come i SUV, aumentando i prezzi medi delle auto e rendendole meno accessibili. Dal 2018 a oggi, il prezzo medio delle auto nuove è aumentato del 35%, passando da 26.590 a 36.082 euro. Ed è questa la vera ragione che ha portato a una contrazione della domanda e a una progressiva disaffezione delle nuove generazioni verso l'acquisto di automobili. Inoltre, la mancanza di investimenti in innovazione e l'assenza di una visione strategica a lungo termine hanno ulteriormente aggravato la situazione.
Strategie mancanti
Questa è la stessa mancanza di visione strategica che affligge anche il panorama imprenditoriale dell'energia in Italia e specialmente delle energie rinnovabili. Non parliamo di installazione d'impianti per la produzione energetica da fonti rinnovabili, ma di tutto il segmento che vi è dietro, ossia all'hardware e software, settori cruciali per la transizione energetica. Si tratta di settori manifatturieri che sono stati abbandonati dall'Italia e dall'Europa a favore della Cina, che ora è leader indiscussa nella produzione della componentistica per le fonti rinnovabili.
Vento d'oriente
Se sui pannelli fotovoltaici la partita con la Cina è ormai persa, è interessante vedere un settore che è ancora in transizione: l'eolico. Nel 2018 le aziende europee detenevano il 55% del mercato eolico globale, ma nel 2022 questa quota è scesa al 42%, mentre le aziende cinesi sono cresciute dal 37% al 56% nello stesso periodo. Tradotto: in quattro anni non solo il Vecchio Continente ha perso la leadership, ma le parti tra Europa e Cina si sono invertite. E il trend non gioca a favore del nostro continente. E non si tratta solo di prezzo, ma di precise politiche industriali, alcune delle quali fanno leva sull'innovazione. Questo spostamento, infatti, è attribuibile a diversi fattori:
• competitività dei prezzi: le turbine cinesi sono offerte a prezzi inferiori rispetto a quelle occidentali, con differenze che sono in media del 20%;
• espansione internazionale: nel 2023, le aziende cinesi hanno ricevuto commesse per 1,7 GW di progetti eolici in 20 mercati esteri, tra i quali cinque stati membri dell'UE, quasi il triplo rispetto ai mercati serviti nel 2018;
• innovazione e diversificazione: la continua introduzione di nuovi modelli ha permesso alle aziende cinesi di soddisfare una gamma più ampia di esigenze del mercato, aumentando la loro attrattività rispetto ai produttori occidentali.
E tutto ciò avviene nel momento in cui Confindustria sottolinea la necessità di una strategia decennale per la transizione energetica, che dia segnali chiari al mercato e crei le condizioni per uno sviluppo organico delle filiere nel settore delle energie rinnovabili, ma apre la strada al nucleare, rischiando di sottrarre risorse agli investimenti nelle rinnovabili, con un dualismo perdente. Non si possono avere, infatti, due road map che insistono sullo stesso mercato. Storicamente, uno dei due settori finisce per soccombere, a meno che non si opti per un sostegno pubblico o un aumento dei costi per i consumatori. Uno scenario che abbiamo già visto sul settore auto negli anni scorsi e che ha portato all'estinzione della manifattura automobilistica italiana.