L'Europa deve scegliere se posizionarsi con gli Usa o la Cina, specialmente sulle tecnologie rinnovabili e climatiche.
Mentre l'amministrazione Trump sta smantellando tutto il sistema di ricerca sul clima statunitense – chiudendo anche l'osservatorio di Mauna Loa – il Copernicus Climate Change Service (C3S) e l'Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) hanno rilasciato in questi giorni la nuova edizione dell'European State of the Climate, che rappresenta il più completo set di dati e informazioni sulla “salute climatica” del Vecchio Continente. E non ci sono buone notizie. Le anomalie tecniche annue delle temperature medie, infatti, hanno visto un aumento delle temperature compreso tra i più due e i tre gradi a seconda della zona, con un tasso di riscaldamento quasi doppio rispetto alla media globale: un +2,4 °C a fronte di un +1,3 °C su scala planetaria. In pratica l'Europa ha superato quello che era il vero limite dell'Accordo di Parigi, +2°C.
Clima in picchiata
Nel concreto sono diminuiti del 69% i giorni di gelo, mentre i mari hanno visto nel 2024 toccare un + 1,2 °C nel Mar Mediterraneo, superando l'anno precedente e toccando l'ennesimo record. Un aumento che ha visto il manifestarsi di tutti gli eventi estremi possibili, come le alluvioni prodotte dalla tempesta Boris in Europa centrale, quelle del 29 ottobre a Valencia e dintorni con frequenti piene fluviali a Ovest (Nord Italia, Francia, Benelux, Danimarca, Norvegia) e un clima soleggiato e molto secco invece a Est, con il 2024 che è stato in quelle zone il più asciutto degli ultimi 50 anni. E lo scorso anno ha visto anche un record di 335 decessi legati al clima a causa di tempeste e inondazioni, con almeno 413.000 persone colpite, alle quali dobbiamo aggiungere altre 42.000 che sono state colpite dagli incendi.
In pratica, l'Europa è diventato un vero e proprio laboratorio climatico, nel quale già oggi si stanno manifestando gli eventi climatici che interesseranno a breve l'intero Pianeta; ma tutto ciò sembra interessare poco l'Unione Europea. Bruxelles, infatti, sembra aver ridotto lo slancio verso le tecnologie pulite, stretta tra l'esigenza del riarmo e la crisi di ampi settori industriali, come quelli dell'automotive. E anche sul fronte più redditizio, quello della manifattura legata alle fonti rinnovabili, il Vecchio Continente perde colpi. La partita del fotovoltaico è persa, quella dell'eolico ci vede in delle perdite di mercato consistenti (le turbine eoliche made in Europe hanno perso il 20% del mercato mondiale in due anni), mentre anche altre tecnologie, come per esempio le pompe di calore, sono insidiate dalla dinamicità industriale della Cina.
Cina nemica
E sul paese del Dragone, oggi, è necessaria una riflessione. Di fronte ai dazi di Trump non sono pochi gli osservatori europei che puntano il dito contro la Cina, additandola come “nemica”. Ma fino a una decina d'anni fa il trasferimento tecnologico nel paese del Dragone veniva salutato come una logica “salutare” che consentiva alle aziende occidentali di produrre con marginalità importanti, visto che il costo del lavoro e i pochi vincoli sociali e ambientali consentivano di produrre abbattendo drasticamente i costi e guadagnando molto, anche perché poi questi prodotti venivano venduti sui ricchi mercati occidentali. Nel frattempo, la Cina si è dotata di strutture industriali proprie lungo tutte le filiere, investendo su una serie di punti critici abbandonati dall'Occidente. Terre rare, laboratori di ricerca avanzati, risorse umane qualificate e infrastrutture per la logistica sono solo alcuni degli aspetti sui quali la nazione asiatica ha investito, mentre le aziende occidentali pensavano solo ed esclusivamente ad accumulare liquidità. Molte grandi imprese accumulano liquidità e preferiscono reinvestirla in azioni proprie o in acquisizioni all'estero piuttosto che impiegarla per aumentare la capacità produttiva interna o per investimenti innovativi, mentre la Cina ha ragionato esattamente al contrario, ed è giunta, oggi, a una maturità tecnologica e d'innovazione di grande rilevanza, che si può concretizzare nell'affacciarsi sui mercati internazionali di BYD.
L'auto elettrica
BYD opera in tre segmenti principali: batterie ricaricabili e fotovoltaico; componenti e assemblaggio per telefoni cellulari; automobili e prodotti correlati, inclusi autobus elettrici, veicoli commerciali, taxi e sistemi di trasporto ferroviario urbano. Una delle chiavi del suo successo è la strategia di integrazione verticale, che le consente di produrre internamente la maggior parte dei componenti, incluse le batterie, riducendo costi e dipendenze da fornitori esterni. Nel 2024 l'azienda cinese ha prodotto oltre 4 milioni di veicoli a nuova energia (NEV), con una crescita del 41,3% rispetto all'anno precedente. Di questi, circa 1,7 milioni erano veicoli elettrici a batteria (BEV) e 2,5 milioni veicoli ibridi plug-in (PHEV), mentre impiega circa un milione di lavoratori, con oltre 110.000 addetti dedicati alla ricerca e sviluppo, il più grande team R&S nel settore automobilistico mondiale. Il tutto produce autovetture il cui modello entry level viene venduto sul mercato interno a 12.000 dollari, ed è di cinque anni avanti a livello d'innovazione rispetto alle autovetture elettriche prodotte in Europa e degli Stati Uniti.
Il ruolo europeo
In questo quadro l'Europa potrebbe – il condizionale è d'obbligo – giocare un ruolo nel “tarare” sul fronte sociale e ambientale le tecnologie necessarie all'adattamento e alla mitigazione dei cambiamenti climatici, che è uno dei pochi denominatori che, per ora, manca alla Cina, integrando queste conoscenze con quelle tecnologiche cinesi. Le barriere ai prodotti cinesi o, peggio, l'importazione di stabilimenti produttivi sul territorio europeo sono “soluzioni” di corto respiro anche perché qualsiasi stabilimento produttivo realizzato nel 2025 avrà un tasso molto, ma molto basso sul fronte dell'intensità di lavoro, e non produrrà, quindi, benefici occupazionali. L'Europa deve posizionarsi nelle parti alte delle filiere climatiche. Le uniche in grado di produrre valore e che avranno nei prossimi anni mercati giganteschi. Nonostante Trump.