Le osservazioni della Commissione Europea sul PNIEC dimostrano che l'eterna allergia italiana alla programmaticità è tutt'ora viva
Ancora una volta, l’Italia si presenta a Bruxelles con un piano ambizioso, pieno di obiettivi virtuosi e dichiarazioni di intenti. E, ancora una volta, l’Europa ci richiama all’ordine: senza strumenti concreti, senza politiche operative e senza una strategia credibile di attuazione, la transizione energetica rischia di restare, per il nostro Paese, l’ennesima chimera, buona per i convegni ma deficitaria nei fatti. Le raccomandazioni della Commissione Europea sul PNIEC italiano, aggiornato nel 2024, non lasciano spazio a interpretazioni di sorta: gli obiettivi climatici fissati sono in larga parte condivisibili, ma ciò che manca sono i mezzi per raggiungerli. L’Italia – è il messaggio implicito di Bruxelles – continua a eccellere nell’arte di scrivere programmi senza indicare come trasformarli in realtà. Un copione noto: l’entusiasmo per le transizioni epocali convive con l’incapacità cronica di sciogliere i nodi politici e amministrativi che le renderebbero praticabili. Il giudizio della Commissione fotografa, punto per punto, tutte le italiche mancanze strutturali. Nel settore dei trasporti, la mobilità elettrica resta una bandiera agitata più che un obiettivo perseguito con coerenza fiscale e infrastrutturale. Nella riqualificazione edilizia si persevera nella logica emergenziale e discontinua dei bonus, senza una strategia di lungo periodo che metta davvero al centro le famiglie vulnerabili e il patrimonio immobiliare energivoro. Sul fronte dei sussidi ai fossili – uno dei grandi tabù del Bel Paese – il Governo continua a rinviare decisioni che avrebbero dovuto essere prese almeno un decennio fa.
“Si tratta di un classico difetto italiano. Quello di darsi obiettivi sfidanti ma poi di non dotarsi degli strumenti concreti, efficaci ed efficienti per attuarli. – afferma il presidente del Coordinamento FREE, Attilio Piattelli – È necessario che l’Italia si doti rapidamente di questa ‘cassetta degli attrezzi’ necessaria per la decarbonizzazione e lo sviluppo della nostra economia”.
Le mancanze emergono anche nei comparti meno visibili ma strategici: la gestione delle foreste, il monitoraggio del suolo, la pianificazione idrica, la digitalizzazione della rete elettrica. Per non parlare del capitolo nucleare, su cui Roma sembra aver deciso in maniera chiara anche se nei fatti continua a tentennare, in un eterno limbo fatto di annunci intermittenti e nessuna scelta politica trasparente. Dietro a queste carenze non c’è solo la complessità tecnica: c’è un problema di visione politica, industriale e, ancor più, di coraggio decisionale. La transizione energetica, infatti, implica costi, redistribuzioni, riconversioni industriali, cambiamenti di paradigma. In altre parole, impone ai governi la capacità di assumersi responsabilità che possono generare conflitti economici e sociali magari nel breve periodo, ma che sono indispensabili per evitare costi insostenibili nel lungo termine. Come è stato messo nero su bianco quasi due decenni fa da Nicholas Stern mel suo volume “Un piano per salvare il Pianeta”.
Eppure, gli obiettivi non sono irrealizzabili. La Commissione Europea certifica, infatti, che se tutte le misure ipotizzate dai vari Stati membri fossero attuate l’UE potrebbe avvicinarsi al taglio del 55% delle emissioni entro il 2030. Ma questa proiezione è fondata su un grande “se”: l’effettiva attuazione. E su questo terreno l’Italia è maestra nello zoppicare a falcata doppia. Si veda che cosa è successo su una normativa cruciale come quella delle Aree idonee. “Il procedimento pubblico per la Valutazione Ambientale Strategica del PNIEC, richiesto dalle norme UE, è ancora in corso e sono state fornite solo informazioni limitate sulle proposte che la consultazione pubblica ha prodotto, ma che il Governo ha scartato”, afferma Dario Tamburrano, eurodeputato del Movimento 5 Stelle.
Non basteranno ulteriori piani, slide, summit e quant’altro. Serve un’infrastruttura normativa stabile, un quadro fiscale coerente, una macchina amministrativa snella e competente. Servono governi disposti a gestire il consenso non inseguendo sempre l’opinione pubblica prevalente, ma costruendo il futuro con scelte complesse, anche se possono essere impopolari sul breve periodo. La transizione energetica italiana non è più in discussione negli obiettivi. Lo è, purtroppo, nella credibilità del percorso. E senza credibilità, ogni piano resta carta.